Lo scorso anno, quasi per caso, mi è capitato di guardare una serie tv sudcoreana in lingua originale. In breve tempo è nato un amore, i suoni, la cadenza, il ritmo e gli accenti di parole mai ascoltate prima con attenzione, mi sono subito arrivati al cuore. Si è accesa un’estrema e frizzante simpatia per alcuni termini della lingua, composta con il tondeggiante alfabeto Hangul, che trovo “deliziosi”.
Non ho più smesso di guardare queste serie e film originali, ovviamente sottotitolati. I personaggi hanno iniziato a diventare un po’ parte del mio immaginario quotidiano, come gli eroi dei fumetti da bambino o quelli delle serie tv viste nel periodo dell’ adolescenza. Durante la giornata mi viene spontaneo, ogni tanto, abbozzare dei discorsi “imitando” il loro modo di parlare, la gestualità e utilizzando anche alcune delle 5 o 6 parole che ho imparato! Faccio proprio finta di parlare in coreano con tanto di intonazione e tentativo di imitare il suono straordinario delle espressioni vocali..
Le storie rappresentate sono costruite su più soggetti di cui alcuni molto affascinanti che passano le giornate presi da mille impegni a cui se ne aggiungono sempre di nuovi. Fanno molta fatica e non si lamentano mai. Studiano, lavorano, si preoccupano degli amici o dei loro cari. Dritti a testa alta verso i loro obiettivi che a volte sono vere e proprie imprese verso un futuro radioso e a volte sono un’espiazione di colpe del passato, di errori commessi che in qualche modo devono essere “aggiustati”. Succede di frequente che oltre alla fatica spesa si trovino ad imbattersi in persone che li maltrattano psicologicamente, rendendone il cammino tortuoso e difficile. La caratteristica che me li ha fatti molto amare è il fatto che nonostante le angherie e le offese ricevute tirano avanti per la loro strada, apparentemente senza danno, pacifici, sorridenti e gentili, non battono ciglio, sopportano perchè è meglio non perdere energie e non si fermano fino al punto …
… eh, fino al punto di esplodere e allora arriva la rabbia sopita, la disperazione e le lacrime, la vergogna, si dispiegano tutte le emozioni difficili e tremende schiacciate fino ad un momento prima per tanto tempo. La sensazione è che ormai non ci sia più nulla da fare, nessuna possibilità di riscatto, di salvataggio … è ormai troppo tardi. La nave si sta irrimediabilmente schiantando contro la terra ferma. E’ il momento del colpo di scena e il personaggio, non senza rischi e ulteriori fatiche, riesce a risorgere, ad ammorbidire il male che ha dentro e a rifiorire. Molte volte questa fase liberatoria arriva attraverso confessioni con figure amiche che sono pronte ad aiutare e a supportare, a volte con la complicità di eventi fortuiti ma c’è sempre un fattore scatenante fondamentale: la persona disperata decide di volersi bene, sceglie di occuparsi finalmente di se stessa, di permettersi di allentare la tensione, di ammorbidirsi in un abbraccio. In pratica si rende conto di aver bisogno di nutrirsi, per poi ripartire.
Questa presa di coscienza è fondamentale, solo rendendosi veramente conto di cosa sta succedendo, di quanto sta soffrendo, il personaggio riesce a capire cosa è veramente importante per lui e, una volta riconfortato può consapevolmente ripartire a lavorare con gioia ai suoi progetti, alla sua vita.
A pensarci bene mi ci ritrovo molto in alcune situazioni, seppur in versione decisamente più edulcorata rispetto alle trame a volte iperboliche delle vite dei protagonisti. Anch’io ho fatto e a volte devo fare i conti con errori del passato che mi hanno bloccato molto in tanti sensi e su parecchie strade, sbagli che ora ho capito, accettato e che sto pian piano cercando di superare per andare oltre.
L’accettazione degli errori commessi è stata senza dubbio fondamentale per farmi stare meglio, per cercare di non ripetere più gli stessi e proseguire il cammino. Non è però stata sufficiente in quanto a volte mi capita ancora di trovarmi in bilico tra la voglia di ripartire, di fidarmi delle persone e di ricostruire importanti rapporti di collaborazione e il protezionismo verso me stesso per cui “da ora in poi farò tutto da solo”, cosa poi peraltro impossibile.
L’avventura in corso con la Mindful Self-Compassion mi ha portato a consolidare ancora di più alcuni concetti fondamentali. E’ importante accorgersi di cosa c’è che non va, di provare a lasciarlo andare o ammorbidirlo se possibile, è fondamentale chiedersi cosa posso fare per stare meglio, di cosa ho bisogno, di cosa ho veramente bisogno. Ecco io …
Ho bisogno di volermi bene, di rispettarmi
Ho bisogno di avere attorno persone con le quali parlare sentendomi ascoltato.
Ho bisogno di accettazione e connessione, anche da parte mia verso me stesso.
Ho bisogno di non aver paura di raccontare quando soffro o quando qualcosa mi ha provocato dolore, tristezza, risentimento.
Ho bisogno di poter ricambiare tutto ciò con chi mi è accanto nei vari momenti della vita.
Ho bisogno della gentilezza che spero di poter dare anch’io agli altri.
Ho bisogno di sorridere e del sorriso altrui.
Ho bisogno di continuare a crescere insieme a tutte le persone che sono nella mia avventura!
Ho bisogno di ricordarmi ogni giorno … di cosa ho veramente bisogno?!